Affaire Antimafia


Infiltrazioni politiche e business. Sulla lotta alle cosche è polemica. Parla la candidata di Grillo.

Colloquio con Sonia Alfano.

Sonia Alfano Il grido d'allarme è di Tano Grasso, il presidente onorario della Fai, la Federazione nazionale antiracket e antiusura. "C'è una guerra che viene da sinistra", ha dichiarato. Un tentativo di screditare chi combatte il pizzo e i santuari mafiosi. Un piano insidioso che lo ha costretto a chiedere un incontro con il ministro dell'Interno Giuliano Amato. E a pretendere immediata e "piena legittimazione". Altrimenti, avverte Grasso, si potrebbe arrivare "all'eventualità di sciogliere le associazioni antiracket".

Tutto è partito da due articoli pubblicati su questo giornale. Il primo, uscito in febbraio e titolato 'Antimafia double face', ricostruiva le contraddizioni e le amicizie scivolose di chi combatte Cosa nostra. Il secondo articolo, invece, è uscito la settimana scorsa ('Il racket targato antiracket') e ha raccontato le indagini partite dalle denunce di Giuseppe Gulizia: un imprenditore ricattato prima da un gruppo di mafiosi, e poi a suo dire dal coordinatore siciliano della Fai, Mario Caniglia. Da quest'ultimo, ha dichiarato agli investigatori, sarebbe stato costretto a comprare migliaia di litri di olio. Nonché a versare decine di migliaia di euro a lui, a una dipendente del Commissariato nazionale antiracket e al presidente dell'Associazione Sos Impresa di Confesercenti, Lino Busà.

Vero? Falso? Calunnie pilotate o gravi verità? Magistrati e carabinieri stanno lavorando per spazzare ogni ombra. Ma intanto il clima è pesante. Nei giorni scorsi Grasso ha tuonato contro la mancata solidarietà da parte della politica. I sostenitori della Fai hanno parlato di "veleni", di "una vendetta trasversale della mafia", persino di "attacchi subdoli da parte di chi non conosce la tormentata storia dell'antiracket". Una reazione che non stupisce Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe ucciso da Cosa nostra, oggi candidata da Beppe Grillo alla presidenza della Regione Sicilia: "Si è mosso il cosiddetto Puar, il Partito unico dell'antimafia di regime", commenta: "Personaggi che si ritengono intoccabili, al di sopra di qualunque indagine. Gente che ha una sola regola: o stai con me, oppure ti emargino".

Sia più chiara, signora Alfano: faccia nomi e cognomi delle persone a cui si riferisce.
"Tano Grasso ha un ruolo fondamentale, in questo schieramento. Una volta il suo unico interesse era combattere i mafiosi, assistere chi pagava il pizzo o era stritolato dagli usurai. Poi è diventato il simbolo di una casta antimafia fatta di politici, magistrati e giornalisti. Lo scopo è semplice: gestire l'antipotere e infilarsi nelle crepe dello Stato, che al Sud è ambiguo per non dire inesistente".

Beh, va detto che molti, in Sicilia e non solo, hanno trovato il coraggio di ribellarsi alla mafia grazie a Grasso e ai suoi uomini.
"Nessuno lo nega. Ma ha fatto anche dell'altro. Ha inculcato negli italiani l'idea che la battaglia al pizzo sia il punto cruciale nella sfida a Cosa nostra. Il che è falso, e per certi versi nocivo. La mafia si arricchisce con ben altri affari, dei quali né Grasso né le sue associazioni parlano mai: vedi gli appalti edili o le infiltrazioni nella politica. Non dimentichiamo il caso Calcestruzzi o la vicenda Cuffaro".

A proposito di politica. Grasso sostiene che attualmente è la sinistra a tramare contro il lavoro della sua Federazione. Concorda?
"Per niente. È stata proprio una certa sinistra a sponsorizzare l'ascesa di Grasso. La stessa sinistra che in queste ore tace, conscia delle storture che condizionano antiracket e antimafia. Ripeto: siamo di fronte a un partito unico e trasversale, dove nessuno attacca nessuno".

Fatto sta che Grasso ha minacciato di sciogliere le associazioni antiracket, se non fosse stato appoggiato dal ministro Amato.
"La classica mastellata… Alza la posta perché è consapevole della sua forza: sa di poter condizionare i piani alti del Palazzo e lo fa, dimostrando ancora una volta di avere perso il senso della misura".

Come doveva reagire, a suo avviso?
"Lasciar perdere i ministri e fare un po' di pulizia nella Federazione antiracket, a prescindere dal caso Gulizia. Ho conosciuto vittime del racket che hanno perso interi patrimoni, a volte i loro cari, ma non hanno ricevuto le attenzioni riservate a Mario Caniglia e agli altri fedelissimi di Grasso".

A proposito di Caniglia: Gulizia lo accusa di averlo costretto a comprare il suo olio e a versare mazzette a esponenti dell'antiracket. Eppure è noto per il suo impegno antimafia, per essere il coordinatore della Fai in Sicilia. Possibile un simile sdoppiamento?

"Vale per lui come per tutti: fino a prova contraria si è innocenti. Detto questo, con me Caniglia si è comportato in modo sconcertante. Quando mi fu tolta la scorta, circa due anni fa, lo incontrai dietro suggerimento di Grasso per ragionare sulla situazione. Lui si presentò con la sua scorta, me la indicò e disse: 'Vedi, io non ho mai alzato la voce, non ho mai puntato il dito. E lo Stato mi sta accanto'".

Lei cosa ha risposto?
"Che tutto questo affetto dallo Stato, nel mio caso, non l'avevo mai visto. Anzi, togliermi la scorta era l'ennesimo segnale di rifiuto per le mie uscite scomode".

Ora lei è impegnata nella campagna elettorale per la presidenza della Regione Sicilia. Si parla di temi cruciali come le contraddizioni dell'antimafia e le strategie per sconfiggere il racket?
"Mai. Sembra di vivere a Oslo. Walter Veltroni è venuto qui a definire 'prioritaria' la lotta alla mafia, dichiara di non volere i voti di Cosa nostra, però ha messo in lista uno come Mirello Crisafulli filmato mentre baciava il boss di Enna. Dall'altra parte, idem: nelle file dell'Udc c'è quel Salvatore Cintola che il boss Giovanni Brusca considerava un 'amico personale'. Chi può sperare di sconfiggere la mafia?".

C'è anche qualche nota positiva. Confindustria si è schierata duramente contro Cosa nostra. Ha detto che gli imprenditori che pagano il pizzo verranno cacciati: non era mai successo…
"Vero. Vero anche che non vedo questa miriade di cacciati, eppure a Palermo il pizzo lo pagano tutti. E poi lo abbiamo letto sul vostro giornale: colui che fino a pochi giorni fa era vicepresidente di Confindustria, Ettore Artioli, era anche socio di gente indagata per riciclaggio e a sua volta in società con il rampollo di una famiglia mafiosa, condannato per traffico di droga. Come si può pretendere la trasparenza quando si ha il torbido in casa?".

Forse puntando sui giovani, sui ragazzi di Addiopizzo o simili, che credono in un Meridione pulito.
"Lo penso anch'io. Senza di loro gli imprenditori e i commercianti non si sarebbero posti seriamente la questione del pizzo. Il rischio, però, è che qualcuno possa strumentalizzare le energie di questi ragazzi. Farli sentire apprezzati e intanto controllarli".

A lei è successo, di sentirsi controllata?
"A me è successo l'opposto. La lobby dell'antimafia si è presto resa conto che ero ingestibile".

In che senso?
"Faccio un esempio. Mi sono battuta a lungo per lo scioglimento dell'amministrazione comunale di Barcellona Pozzo di Gotto. Tutti sapevano che era un biscotto inzuppato nella mafia, e la relazione degli ispettori lo confermava. Ma nessuno mi ha sostenuto, a livello istituzionale. Addirittura Francesco Forgione, alla vigilia della sua nomina a presidente della Commissione parlamentare antimafia, mi disse che 'lo scioglimento di un Comune non aveva mai portato la democrazia'. Ecco, di questo eventualmente dovrebbe parlare Tano Grasso con Giuliano Amato: del fascicolo sul comune di Barcellona che il ministro ha sulla scrivania. E sul quale non ha mai speso una parola".

Riccardo Bocca
(anticipazione tratta da "L'Espresso")

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